Buonanotte… Il delicato momento dell’addormentamento

Buonanotte… Il delicato momento dell’addormentamento

Buonanotte, ci vediamo nei sogni”. È il saluto con cui ogni sera accompagno mia figlia tra le braccia di Morfeo.

Quello dell’addormentamento è un momento delicato, non sempre vissuto con serenità e fluidità. Gli studi di epidemiologia dimostrano che i bambini tendono a non avere un sonno notturno continuativo. Statisticamente risulta che, fino ai 2 anni circa, durante la notte si svegliano almeno una volta.

Moltissimi sono i bambini che, all’inizio della scuola dell’infanzia, dormono nel lettone con i genitori per tutta o una parte della notte. Questa abitudine diminuisce nel tempo, e nella fascia d’età della scuola primaria dovrebbero essere pronti a dormire da soli.

Riuscire a trascorrere la notte nella propria stanza sembrerebbe un passaggio automatico e indolore, ma in realtà porta con sé il confronto con paure e insicurezze ancestrali: la paura del buio, dell’abbandono e della morte. Addormentarsi significa lasciarsi andare, perdere il controllo su quanto accade intorno a sé in uno spazio buio in cui le ombre possono trasformare i contorni in immagini spaventose. Questo atto di coraggio e di fiducia in se stessi rappresenta per i bambini un importante momento di emancipazione.

Nel suo processo di crescita il bambino vive profondi cambiamenti, esteriori ed interiori. Di fronte a tali rivoluzioni può generarsi un turbamento che comporta stati di malinconia, agitazione, aggressività, nervosismo, con sicure ripercussioni sul sonno.

Il nono anno di vita è uno di questi delicati periodi: i bambini prendono coscienza della propria autonomia, iniziano a nutrire sentimenti di timore e preoccupazione verso il tema della morte e il processo di differenziazione dai genitori genera sentimenti contrastanti di gelosie, sensi di colpa, amore e odio. L’addormentamento, per i bambini di questa età, risente di tali conflitti emotivi.

Sono molti gli psicoterapeuti che si concentrano sul tema dell’addormentamento autonomo, focalizzando l’attenzione su fenomeni oggi diffusi come il co-sleeping.

Molti affermano che nel caso di incubi o malattie, ospitare i bambini nel letto dei genitori ha un valore rassicurante ed è efficace perché connesso ad una situazione specifica. Renderlo un’abitudine, invece, soprattutto se protratta oltre i 5/6 anni, comporta il rischio che i figli si percepiscano gerarchicamente sullo stesso livello dei genitori.

Rischio che potrebbe generare confusione nei ruoli all’interno della famiglia e, inevitabilmente, destabilizzare gli equilibri e le abitudini anche della coppia genitoriale. Infatti, se il passaggio al dormire da soli non accade o è difficoltoso, possono crearsi tensioni ed incomprensioni, accuse di eccessivo accudimento o di sostituzione dell’oggetto d’amore da parte di un genitore verso l’altro.

Come sostenere in maniera efficace i propri figli?

Un’attenta disponibilità all’ascolto e all’accettazione del bambino è essenziale per creare momenti di confidenza e condivisione, soprattutto con i più grandi, per capire cosa li spaventa e cosa non gli permette di vivere con serenità il momento dell’addormentamento.

C’è, poi, un aspetto da considerare. Andare a dormire, come ogni momento della quotidianità, è concatenato con eventi precedenti e successivi. È il momento in cui rielaborare e “digerire” quanto accaduto durante la giornata per ristabilire una serenità interiore ed addormentarsi.

È salutare giungervi in uno stato d’animo preparato, già avviato in un processo di rilassamento fatto di tappe preparatorie. Scegliere nelle ore precedenti attività che conducano il bambino a lasciare fuori il mondo per raccogliersi in se stesso.

Per questo è utile costruire, insieme ai propri figlii, delle routine che abbiano un copione prevedibile.  Si può iniziare cercando di compiere delle azioni quotidiane, come ad esempio:

  • dedicare le ultime ore del pomeriggio a giochi rilassanti o alla lettura
  • non usare videogiochi dopo cena
  • accendere una candela prima di mettersi sotto le coperte
  • salutarsi ogni sera con la stessa canzone o frase.

Il bambino ha bisogno di rituali validi e significativi che lo rassicurino per affidarsi al mondo dei sogni in serenità.

Festa del papà. Essere padre oggi

Festa del papà. Essere padre oggi

Tutti abbiamo avuto un padre. Qualcuno lo è, altri lo saranno, ma di certo ognuno ne porta con sé un’immagine.

Quando penso a mio padre, risorgono i ricordi d’infanzia e della prima adolescenza. A tratti fumosi, a volte nitidi come se fossero accaduti recentemente. Soprattutto ricordo i gesti compiuti verso gli altri, verso la comunità. Con un po’ più di sforzo quelli nei miei confronti, che conservo cari, ed è bene così perché mi ha mostrato come si sta al mondo.

Torno con la memoria a mio nonno, padre di mio padre, ai suoi gesti di cura verso i nipoti, gentile con tutti e nobile nella sua umiltà. I pensieri fanno riaffiorare l’immagine di suo padre, morto al fronte nella prima guerra mondiale, mio bisnonno per genealogia, e penso a come sia stato per lui vivere e crescere senza la figura paterna. Non me ne ha mai parlato e io non mai ho chiesto. Era una condizione comune nelle generazioni nate tra le due guerre.

Ritorno all’oggi, penso a padri e figli che ho conosciuto nel mio percorso educativo, agli occhi dei bambini che si illuminano quando dicono “Me l’ha detto papà…”.

Penso a J. che tiene la mano di suo padre mentre si avviano sulla riva del mare a guardare l’orizzonte. Sembrano osservare un luogo altrove, abbracciati in un’atmosfera di tenerezza che le sole parole non possono descrivere.
Penso a M., a cui il destino ha tolto la possibilità di avere un padre affianco, ma ha la fortuna di avere una madre che le ricorda sempre che i cari continuano a vivere oltre la morte nei nostri cuori.

Molta letteratura dipinge il presente come un’epoca senza padri, in cui la figura paterna è evanescente e spesso assente. Un’assenza che di certo è sempre stata una nota critica nelle storie familiari. Oggi non si tratta della sola assenza fisica, ma dell’atteggiamento interiore di chi ricopre questo ruolo. Un ruolo in profonda crisi, che fa porre una seria domanda:

Che ruolo deve avere un padre oggi?

Mancano uomini che si assumano la responsabilità di indicare una via e che siano disposti a camminarla insieme agli altri, che trasmettano valori di comunità, che siano disposti a dare l’esempio nell’andare incontro al prossimo. Servono padri che sappiano uscire dal proprio egoismo, rivolgendo lo sguardo al mondo, verso il futuro, e che sappiano donarsi all’altro con gentilezza e rispetto. Mancano persone che mostrino l’importanza di costruire ponti, che allo stesso tempo conoscano il valore del limite e sappiano difendere i confini.

Lo psicanalista italiano Claudio Risé, in un’intervista a tempi.it, spiega che a mancare è un padre capace di tenerezza. Non si parla di mero sentimentalismo, o dell’emotività che smuovono immagini social con gattini e figli. Per tenerezza si intende l’accogliere l’altro per ciò che è, rispettando le diversità, accompagnando il figlio alla scoperta di sé, sapendo anche quando dire no.

Sempre citando Risé, servono padri che rappresentino il Padre.

Buona festa del papà.

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SUGGERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Mezzanotti M. (a cura di), Essere un padre, Edizioni Tlon, 2016
Risé C., Il padre. Libertà e dono, Edizioni Ares, Milano, 2013

Paternità. Il gesto di Ettore

Paternità. Il gesto di Ettore

Viviamo in un tempo in cui i bambini sono circondati da figure educative femminili. Dal nido alla primaria l’incidenza di uomini all’interno della scuola è in percentuale bassissima, quasi irrilevante.

Tale assenza della figura maschile si ha spesso anche nei nuclei familiari. Situazioni di famiglie separate con padri estromessi dal loro ruolo o, anche in altre all’apparenza salde, in cui questi non sono presenti. In tali condizioni la madre si ritrova necessariamente a dover ricoprire un doppio ruolo.

Ho conosciuto molte famiglie in questi anni e spesso i bambini che più cercavano nel maestro maschio un punto di riferimento erano coloro che, per vari motivi, avevano delle difficoltà nel rapporto o nel riconoscimento della figura paterna.

Un quadro interessante dal punto di vista educativo. Oggi chi determina maggiormente l’educazione dei bambini è la donna, a scuola e spesso anche a casa. Risulta difficile la possibilità di un equilibrio nell’alterità maschile-femminile, polarità dal cui incontro si genera la vita e che sono il principio della creazione.

A seguito di queste semplici osservazioni, sorgono delle domande: Che ruolo ha il maschile nell’educazione? Quale esempio dare?

Quesiti molto complicati a cui dover rispondere. Facendo appello alle immaginazioni e cercando nel vasto panorama del mito, la figura di Ettore può portare incontro una prospettiva interessante.

Re di Troia, eroe coraggioso, uomo leale e generoso, adorato dal suo popolo, modello per le sue genti, sposo amorevole di Andromaca e padre di Astianatte. Ettore non è solo un padre e non è solo un guerriero. Ettore è entrambe le cose. Non combatte per la gloria personale, combatte per difendere la sua città e il suo popolo, è un eroe che agisce in relazione all’altro.

Nel VI canto dell’Iliade c’è un passo meraviglioso, in cui Ettore si congeda dalla famiglia per affrontare la guerra contro gli Achei che assediano le porte di Troia. Egli giunge al cospetto di Andromaca che disperata si rivolge allo sposo, esternando il suo timore e il suo dolore nel sapere che in battaglia avrebbe trovato morte certa.

Egli, conscio del  destino che lo attende fuori le mura della città, non può tirarsi indietro. È suo dovere essere presente, per l’onore suo, di suo padre, della sua famiglia e delle sue genti. Prima di congedarsi si volta verso il figlio e gli tende le braccia, ma Astianatte si ritrae vedendo davanti a sé un guerriero e non riconoscendo il padre.

Sorrisero entrambi il padre e la madre; ed Ettore glorioso si tolse dal capo l’elmo splendente deponendolo a terra; poi prese tra le braccia il figlio, lo baciò e a Zeus e agli altri dei rivolse questa preghiera: “Zeus, e voi divinità del cielo, fate che questo mio figlio sia come me, che si distingua fra i Teucri per forza e valore, che regni sovrano su Ilio.”

Per essere riconosciuto dal proprio figlio, Ettore deve rivolgersi a lui come padre, non come guerriero e per questo si toglie l’elmo. Compie in seguito un gesto importante, paterno: alza il figlio verso il cielo e lo mostra agli dei. Un’elevazione verso l’alto, segno di verticalità e di identità, un gesto che si differenzia dall’abbraccio accogliente e rassicurante tipico della madre.

Entrambi sono necessari per la crescita educativa del bambino. Le difficoltà sorgono quando vi è la predominanza di uno rispetto all’altro o la completa assenza di uno dei due.

Con questa immagine di Ettore, resta l’augurio di vedere sempre più padri che alzino i figli al cielo e che non rinuncino all’amore per l’azione, all’essere guerrieri, ma che, allo stesso tempo, sappiano capire quando è il momento di togliersi l’armatura.

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SUGGERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Omero, Iliade, Marsilio Editori, Venezia, 2001
Zoja L., Il gesto di Ettore, Bollati Boringhieri, 2016

Posso dormire nel lettone con voi?

Posso dormire nel lettone con voi?

Posso dormire nel lettone con voi?

Domanda che ogni genitore si è sentito fare dai propri figli. Domanda che ognuno di noi, essendo stato figlio, ha posto ai propri genitori.

Cosa spinge il bambino a voler dormire nel “lettone”?  Che valore ha quel luogo della casa, al punto da essere una meta così ambita?

Il lettone è il centro focale della vita familiare, l’axis domus che rappresenta il cuore pulsante dell’amore genitoriale e filiale. Il bambino lo ricerca perché luogo di protezione, sicuro, accogliente, dove il calore del corpo paterno e materno è antidoto per ogni paura e timore che affligge il suo animo.

È il luogo dell’intimità, del raccoglimento, del vociare a bassa voce, di un delicato parlare che conforta, rasserena e tranquillizza. Qui si trova ristoro dopo una lunga giornata di lavoro, ci si lascia andare a gesti di tenerezza, contatto e amore. Ci si abbandona al sonno in quel passaggio tra mondo reale e onirico, per poi ridestarsi al mattino, in un continuo processo quotidiano di vita, morte e rinascita.

È simbolo dell’unione familiare, dell’amore che ha generato la vita. Prima di essere concepito, il bambino qui è stato pensato, desiderato e voluto, con più o meno intensità e coscienza, e il lettone è stato il custode di quei sogni che anelavano alla vita, che tendevano alla costruzione di una famiglia.

È luogo primordiale dell’essere famiglia, dove il padre e la madre, amandosi, hanno affondato le radici dell’albero familiare, dell’arbor felix con il cui legno si accendeva il sacro fuoco in onore alla Dea Vesta.

È perciò naturale che il bambino richieda di dormire nel lettone quando ha bisogno di essere accolto e coccolato. Allo stesso tempo è importante e necessario, per lo sviluppo dell’autonomia, che il bambino comprenda e riconosca il lettone come luogo dei genitori, in cui può occasionalmente trovare conforto e rassicurazione senza però farla divenire un’abitudine. 

Con questo non si sta discutendo sul tema del co-sleeping o sul momento dell’addormentamento (di cui si è già parlato), ma si vuole porre l’attenzione sul valore simbolico che il letto genitoriale ha per il bambino.

“La vita familiare ruota intorno al letto nuziale come l’asse che regge la casa”, scrive Marcello Veneziani nel suo libro Nostalgia degli dei, uno spazio sacro che come tale va vissuto, rispettato e curato.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI:

Veneziani M., Nostalgia degli dei, Marsilio, Venezia, 2019

Essere genitori oggi. La famiglia in trasformazione

Essere genitori oggi. La famiglia in trasformazione

Viviamo in un tempo in cui tanti punti di riferimento sono stati messi in discussione e reinventati. Tutto ciò che riguarda l’uomo, le relazioni umane è in una continua trasformazione e destrutturazione. Un processo ineluttabile che investe anche la genitorialità e perciò dobbiamo porci una fondamentale domanda: cos’é diventata la famiglia?

Partiamo dal suo significato etimologico. Familia : dal latino, servitore, domestico. Mettersi al servizio, quindi, di quanti convivono insieme, condividendo lo stesso tetto e cooperando per rendere vivo il concetto di faama, casa.

Inoltre nell’articolo 29 della Costituzione la famiglia viene descritta come società  naturale. Trovo interessante soffermarsi su questa espressione che può offrire vari spunti di riflessione. Innanzitutto usare il termine società presuppone una dimensione collettiva. Un’insieme, cioè, di individui da prendere in considerazione come singoli, prima ancora che come corpo sociale plurimo. Da un punto di vista pedagogico questo si traduce nella necessità di porsi in un’ottica di osservazione della persona, nel suo processo di definizione di se stesso, per poter poi diventare membro attivo di una collettività.

Prima di poter incontrare l’altro con cui costruire una relazione di coppia e poi condividere una dimensione genitoriale, ogni uomo e ogni donna incontra primariamente se stesso. Il proprio bagaglio di esperienze, pensieri e sentimenti determina l’approccio relazionale successivo. Solo attraverso un’analisi onesta dei propri vissuti interiori è possibile incontrare l’altro liberamente in una dimensione di dono e cura reciproca.

La Costituzione parla di società naturale racchiudendo in questo termine l’immagine della famiglia, intesa come contesto in cui il singolo trova, naturalmente, la condizione ideale per esprimere se stesso nella propria totalità, protetto e tutelato dal calore dell’amore.

Proprio a rafforzamento di tale definizione. la Convenzione Internazionale dei Diritti dell’Infanzia riconosce all’istituzione della famiglia lo status di diritto fondamentale per ogni bambino. Al suo interno ogni piccolo individuo trova lo spazio relazionale ed affettivo per costruire la propria storia. Uno spazio di promozione del processo di crescita del bambino, in cui le figure genitoriali hanno la responsabilità di garantire la tutela e la promozione del concetto di salute intesa come stato di completo benessere fisico, mentale e sociale.

Etimologia e legislazione permettono, così, di riflettere sul concetto di famiglia riconoscendone la sua natura dinamica e relazionale, in cui adulti e bambini si confrontano costantemente. Essere genitori richiede l’assunzione della responsabilità dei propri interventi educativi con la consapevolezza dell’incidenza che l’accudimento e i processi di attaccamento conseguenti avranno nella loro vita.

L’evoluzione degli studi in ambito psicologico e pedagogico, a partire dal Novecento, hanno rappresentato un contributo fondamentale in questa direzione. Infatti, se la famiglia è una società naturale in cui da sempre gli uomini hanno trovato l’espressione del proprio senso di appartenenza ad una comunità, si è assistito nel tempo a profonde trasformazioni correlate all’evolversi dei ruoli sociali e dei processi di consapevolizzazione di se stessi. Si è assistito ad un cambiamento radicale: per generazioni uomini e donne sono passati da un ruolo sociale all’altro, adeguandosi a convenzioni culturali accettate e condivise. Al loro interno per tanto tempo sono rimaste silenti istanze individuali di realizzazione di sé, per assolvere a compiti sociali di procreazione a garanzia della prosecuzione della specie.

Con l’avvento della psicanalisi e delle correnti di studio psicologico e pedagogico successivi, si è poi assistito ad uno spostamento importante: l’asse di assunzione di responsabilità si è spostato verso l’interiorità dell’uomo, per ricercare motivazioni profonde e nuovi assetti di equilibrio e benessere. Il centro è passato dalla necessità di garantire un sistema sociale predefinito alla ricerca di una consapevole scelta e adesione personale alle proprie istanze interiori, e aggiungerei spirituali ed emotive.

Entrare in se stessi, riconoscendo il valore e l’esistenza di dimensioni inconsce, ha scardinato un sistema di definizione personale, che avveniva attraverso l’adesione a preesistenti ruoli sociali accessibili in maniera univoca in funzione al genere e all’età. Ognuno ora è chiamato ad osservare la propria pluralità e complessità interiore, frutto della storia vissuta e di quella ereditata, che determina il proprio essere nel mondo.

Gli orizzonti di senso si moltiplicano e potenzialmente ognuno può trovare il proprio spazio di realizzazione ovunque, a prescindere dal contesto familiare e culturale di appartenenza. Il processo di acquisizione di coscienza di sé e di assunzione di responsabilità in atto è un passaggio evolutivo dell’umanità fondamentale, in direzione di una liberazione interiore consapevole e profonda.

Gli aspetti d’ombra che però accompagnano questo processo, sono campanelli d’allarme di cui tener conto. Una struttura sociale e culturale preesistente al singolo, infatti, se da una parte non lascia spazio alla creativa affermazione di sé al di fuori dei ruoli convenzionalmente concessi, offre uno schema di riferimento rassicurante e prevedibile. Come per il bambino piccolo un ambiente ordinato, prestabilito e fatto di routine stabili, offre la base sicura e necessaria alla conoscenza e alla sperimentazione di sé e del mondo, così la cultura assolve al compito di garantire quella sicurezza necessaria all’ordine sociale e all’interiorizzazione di un radicato senso di appartenenza.

Trovarsi in un mondo globalizzato che permette di raggiungere facilmente luoghi dall’altra parte del globo, grazie a mezzi di trasporto che accorciano le distanze quasi annullandole, di abbracciare credi religiosi, tradizioni e rituali di altri gruppi umani, o di poter conoscere in tempo reale accadimenti di posti lontani, facendo proprie rivendicazioni e istanze di spazi altri, ha rimesso in discussione profonda il senso del sé.

In questa cornice la famiglia si trasforma, perché sono cambiati i punti di riferimento individuali.

Tutto è diventato possibile e accessibile, la cornice temporale di riferimento è l’eterno presente, rivendicato come prioritario e portatore di benessere. Sicuramente saper stare, assaporare e prendere consapevolezza di chi si è,  di quello che si prova e di quali sono le necessità interiori nel qui e ora, ha un valore liberatorio ed equilibrante. Ma questa osservazione di se stessi non puó prescindere dalla scelta di assumersi la responsabilità del proprio destino.

L’esistenzialismo di inizio Novecento aveva già richiamato l’uomo a questa necessaria evoluzione di sé. Sartre ribadiva con estrema chiarezza che ognuno è responsabile del proprio esistere, a prescindere da quale sia il bagaglio ereditato dal passato. Quasi una provocazione, affinché non si lasci spazio alla delega e alla deresponsabilizzazione.

Un’assunzione di responsabilità orientata a non perdere la direzione verso il futuro: il grande rischio di un atteggiamento collettivo rivolto totalmente all’oggi è quello di perdere di vista il principio dell’amore, lasciando spazio solo alla ricerca del piacere. Soddisfacimento immediato, bulimico e superficiale che non basta mai e spinge sempre verso nuove fonti di godimento, mai realmente appaganti.

Essere in contatto con se stessi nel presente guida, invece, il viaggio della vita, individuale e familiare, orientandolo al futuro, con lo sguardo rivolto oltre l’orizzonte. Solo così si possono nutrire relazioni di cura e dono reciproco capaci di mostrare ai bambini il valore profondo dell’amore.

Amore che sappia essere ascolto, attesa, dedizione, osservazione, comprensione di sé e dell’altro.

Familia, essere servitori, è un percorso che cresce con l’individuo. Il bambino lo interiorizza nel calore della casa, il giovane lo sperimenta nelle relazioni affettive e l’adulto lo tramanda come genitore alle nuove generazioni.

Essere genitori oggi assume allora il sapore di scegliere la via dell’amore.

Perché i bambini hanno bisogno di esempi da imitare

Perché i bambini hanno bisogno di esempi da imitare

Spesso, nel voler spiegare alcune cose ai bambini, ci si impegna in descrizioni didascaliche da manuale e dalla limpida esposizione, ma capita che il bambino resti lì fermo, con lo sguardo perso nel vuoto, che non sa cosa fare o meglio non sa come fare.

Non è perché il piccolo “è distratto” o “non capisce”. Questi sono i tipici pensieri dell’adulto frustrato nel notare che non riesce a farsi capire. Il ragionamento in questo caso non è la via.

Il bambino vuole che gli venga mostrato come fare, vuole l’esempio da imitare, non una pedante spiegazione. Si cerca sempre e comunque di parlare, discutere e portare tutto sull’aspetto del dialogo, importante ma spesso abusato.

L’imitazione è qualcosa che avviene in modo naturale, soprattutto fino ai 7 anni. Un bambino che imita è un bambino sano. Vuole, per natura, imparare ad agire nel mondo attraverso l’esempio.

Anche quando non ce ne accorgiamo i suoi occhi sono lì che ci osservano, pronti ad imitare ogni nostro piccolo movimento. L’esempio non passa solo attraverso i gesti che vengono compiuti, ma anche attraverso i sentimenti che si provano e le parole che si pronunciano.

Nell’infanzia, in particolar modo, è l’ambiente che educa. Il bambino fa tutto ciò che vede e sente attorno a lui.  Ciò che lo circonda agisce educativamente, dalla natura ai moti interiori ed esteriori degli uomini che sono a lui vicini.

Se si vuole che il bambino, figlio o alunno, acquisisca autonomie come il lavarsi i denti o impari comportamenti rispettosi nei confronti di altre persone, verso se stesso e verso la natura, è fondamentale che l’adulto si ponga ai suoi occhi come il modello da seguire. Lo sguardo attento del bambino sa cogliere le sfumature e le intenzioni dietro a ciò che si dice o si fa.

Rivolgere dolci e misurate parole, agire gesti di cura e comportamenti educati e rispettosi, fare in modo che pensieri, sentimenti e azioni siano coerenti e in linea tra di loro. Essere autentici e sinceri, prima di tutto con se stessi. Questa è la via che fa dell’adulto un esempio virtuoso da imitare.

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