Consigli di lettura per una Pedagogia della Persona e della Natura

Consigli di lettura per una Pedagogia della Persona e della Natura

Con il nuovo anno, consigliamo la lettura di alcuni articoli pubblicati nel 2021 e nel 2022 a firma della Dott.ssa Francesca Di Michele, Vicepresidente di Cheiron, con l’augurio possano essere di orientamento verso una Pedagogia della Persona e della Natura.

Il primo che presentiamo, ultimo in ordine di pubblicazione, è stato scritto insieme al Dott. Mirko Lucchini, Presidente di Cheiron, come approfondimento del volume Alberto Manzi. La conquista della parola per un’educazione alla libertà (Volta La Carta, 2022).

La sperimentazione del maestro Alberto Manzi. Sentieri per un’educazione globale della persona in Il Nodo. Per una Pedagogia della Persona Outdoor Education. Paradigmi, scenari, linguaggi, n. 22/2022.

Alleanze educative e reti territoriali per una pedagogia dell’impegno civile e della cittadinanza attiva. Buone pratiche di attuazione delle Linee Guida dell’Agenda 2030 in Serie del Dottorato TRES Collana dei Quaderni del Dipartimento di Scienze della Formazione, volume 1/2022.

Formare alla complessità per una rinnovata pedagogia della speranza e dell’emancipazione in La formazione degli insegnanti: problemi, prospettive e proposte per una scuola di qualità e aperta a tutti e tutte, Atti del Convegno Nazionale SIPED, gennaio 2022.

Uno sguardo pedagogico comunitario per una cittadinanza resiliente in risposta alla complessità in Elia, G., Rubini, A. (2022), Famiglie politiche sociali e prospettive pedagogiche, Pensa Multimedia.

Promuovere buone prassi di corresponsabilità educativa scuola-famiglia per un rinnovato
impegno di cittadinanza attiva in Chistolini, S. (2022), Outdoor Education. Muoversi nello spazio mondo tra creatività, avventura, responsabilità, Franco Angeli.

L’impegno civile e politico di Alberto Manzi per una pedagogia della libertà e della responsabilità in Pedagogia e Politica in occasione dei 100 anni dalla nascita di Paulo Freire, Atti del Convegno Nazionale SIPED, giugno 2021.

La pedagogia della natura come scelta di impegno pedagogico e politico per una relazione educativa di prossimità in Il Nodo. Per una Pedagogia della persona Pedagogia e Pandemia, anno XXV n. 51 nuova serie, dicembre 2021.

Pedagogia della natura per una rinnovata consapevolezza educativa in Professionalità studi La professionalità docente tra nuovi paradigmi e consolidate funzioni, volume 3/2021.

Outdoor Education e Outdoor Learning. Riflessioni

Outdoor Education e Outdoor Learning. Riflessioni

Quando si parla di educazione ci si avventura in un terreno fatto di complessità e di interrogativi perennemente aperti che richiedono un processo di riflessione sul significato profondo dell’educare e sul ruolo sociale che la scuola è chiamata ad assumere.

Una prima considerazione è che la scuola dovrebbe essere parte di una comunità educante formata da famiglia, enti del terzo settore, istituzioni, portatrice di un agire educativo diffuso, attento ai bisogni locale e al contesto di riferimento.

Partendo da questa riflessione, la scuola non può che farsi promotrice di un processo di apprendimento orientato alla dimensione del fuori, al contatto con la Natura e con l’Altro per non cadere in un isolamento autoreferenziale, poco edificante.

In questa declinazione dell’apprendimento ci sembra necessario soffermarsi sulle differenze esistenti tra il concetto di Outdoor Education e di Outdoor Learning, spesso confuse e sovrapposte.

L’espressione Outdoor Learning rimanda all‘insegnamento informale, come la partecipazione ad attività culturali, artistiche, laboratoriali, sportive, alle visite guidate presso musei o aree archeologiche. Tutte opportunità costruttive, pur se estemporanee, che hanno il valore di integrare la proposta di apprendimento rendendola permeabile alle iniziative culturali, artistiche e formative di qualità offerte dal tessuto sociale di appartenenza.

Il concetto di Outdoor Education richiede una riflessione più complessa. Tale espressione viene coniata per intendere tutti quegli interventi educativi mossi da un’intenzionalità pedagogica rivolta alla formazione integrale della persona.

Si tratta di assumere una prospettiva primariamente teorica sul significato, sulle finalità, sugli orientamenti del fare educazione. Lo “stare fuori” assume un valore in quanto parte del processo di formazione della personalità del bambino. Non solo una proposta di Learning by Doing, ma un percorso in cui esperienze declinate in contesti naturali, pedagogicamente pensate, si fanno elementi di un processo più complesso, ampio e profondo.

La scuola, soprattutto nella fascia della primaria, assume un ruolo di guida per le individualità ad essa affidate, che dalla sfera protettiva e rassicurante della famiglia muovono i primi prassi verso l’assunzione di una posizione autonoma nella società, come giovani e poi come futuri adulti.

Una fascia d’età in cui ogni maestro ha la responsabilità di sostenere e stimolare la scoperta di se stessi in termini di competenze operative, cognitive, affettive e relazionali.

Proseguendo insieme nella riflessione, allora, vivere l’esplorazione e la contemplazione della Natura rappresenta in questo processo un’occasione diretta di apprendimento. Come afferma J. H. Pestalozzi, pedagogista svizzero del XVIII secolo

“La Natura è maestra migliore dell’uomo”

Essa non necessita di parole, ma mostrando il mistero della vita, insegna ed educa. Questo non basta però, a lei deve affiancarsi l’azione del maestro che, come un giardiniere competente, ha il compito di intervenire per far sì che la pianta – bambino cresca rigogliosa.

All’esplorazione si aggiunga l’intervento educativo volto a nutrire l’interiorità partendo da un’attenta osservazione del bambino. Un intervento educativo che lo conduca allo svelamento dei propri vissuti emotivi per conoscere e riconoscere i sentimenti con cui agire nelle relazioni con gli altri.

Andando ancora oltre, l’assunzione cosciente di una propria posizione nel mondo, l’affermazione consapevole del proprio Io ha bisogno di una struttura interiore, data dalla conoscenza, da uno spirito critico capace di riflettere e ragionare su quanto “è già stato pensato da altri”.

Qui subentra l‘esercizio paziente e costante dello studio, l’incontro con lo sforzo e l’impegno lungo quel confine liminale tra il noto e l’ignoto che Vygotskji considerava alla base del processo stesso di apprendimento per spostare sempre più in là il confine del proprio sapere ed interiorizzare una tensione alla conoscenza che non sia solo un accumulo di informazioni superficiali, tipico delle fugaci mode da social network.

Una tensione alla messa in gioco di se stessi, alla scoperta, alla dedizione che guarda alla Natura come maestra solenne, mai ridotta a spazio da consumare per una fantomatica, effimera libertà di espressione.

In un tempo di velocità, di virtualità, di ricerca ad ogni costo dell’affermazione di sé scegliere di adottare la prospettiva dell’Outdoor Education significa porsi in un atteggiamento di umiltà, ascolto e osservazione di se stessi e degli altri in una propensione alla metamorfosi, all’evoluzione integrale.

Una Pedagogia della Natura che si faccia ispiratrice di una progettualità educativa consapevole e responsabile volta alla trasformazione del principio del piacere e del desiderio egoistico in un principio di amore, fatto di attenzione, tempo, rispetto, lentezza e gratitudine.

Troverai più nei boschi che nei libri

Troverai più nei boschi che nei libri

TROVERAI PIU’ NEI BOSCHI CHE NEI LIBRI. GLI ALBERI E LE ROCCE TI INSEGNERANNO COSE CHE NESSUN MAESTRO TI DIRA’

Questa è probabilmente la più famosa citazione di Bernardo di Chiaravalle. Una frase che racchiude in sé una forza immaginativa senza pari. Rievoca un’ancestrale necessità dalla quale l’uomo contemporaneo si è quasi del tutto allontanato: il contatto con la natura.

Viviamo un presente sempre più tecnologizzato, controllato, igienico, sterilizzato e sterile, in cui l’uomo si barcamena tra pensieri astratti e grandi intellettualizzazioni. Enormi teste, colme di pensieri pensati da altri, poggiano su corpi anestetizzati che si agitano appena un bambino inizia a correre, temendo l’avanzare di febbri mortali al primo sudore, che inorridiscono al pensiero che il piccolo possa saltare in una pozzanghera o salire su un albero. E mentre osservano intimoriti la vitalità pulsante del bambino i loro arti si sclerotizzano sempre di più, i sensi si atrofizzano e si piegano su se stessi, incapaci di muoversi.

L’iper-controllo, che oggigiorno caratterizza gran parte della relazioni adulto-bambino, recide sul nascere la spinta naturale a conoscere il mondo, a sperimentare e sperimentarsi in e attraverso esso, e produce inevitabilmente diversi e seri problemi di salute.
Stare all’aria aperta non fa male, lo possiamo dire con certezza e un pizzico di provocazione: rafforza il sistema immunitario e garantisce una maggiore salute psicofisica. 

MENS SANA IN CORPORE SANO recitava Giovenale nelle sue Satire e oggi più che mai dovremmo ricordarlo noi. La vita dell’uomo dipende principalmente dalla sua salute, strettamente legata alla natura e senza la quale l’uomo si ammala.

Questa condizione umana che, in termini sarcastico-evoluzionistici, possiamo definire tipica dell’ homo sedentarius è aggravata dall’uso smisurato della tecnologia nei più svariati ambiti della vita quotidiana. L’aspetto che preoccupa maggiormente ha a che fare con le relazioni. Si comunica per lo più in forma virtuale o telefonica, permettendo il dilagare di vere e proprie dipendenze da smartphone e social media, con annessi reali rapporti sociali ridotti e, come dimostrano molti studi, ansie e depressioni dilaganti.

Non si vuole certamente demonizzare la tecnologia che ha assunto sì un ruolo dominante nella nostra società ma di cui è indiscutibile la necessità e la funzionalità in molti campi. Bisognerebbe solo farne un uso misurato per non esserne fagocitati e risucchiati.

L’immagine che comunque resta è quella di una società china su uno schermo incapace di alzare lo sguardo per incrociare gli occhi degli altri o per perdersi nella meraviglia di un cielo stellato. Occhi che non sanno guardare il mondo ma cercano foto e video su internet. Abbandonato il mondo dei miti, delle fiabe e dei racconti, perché considerati puerili e insignificanti, passiamo ore e ore a visualizzare le storie altrui su instagram o facebook. Questa è una triste considerazione.

La comunicazione è oggi privata della sua naturale forma, quella del dialogo. Si comunica molto ma si parla sempre meno. Quante persone si saranno ritrovate in casa a comunicare su whatsapp con un familiare che si trovava nella stanza vicina? Accade spesso, non mentiamoci. Il dialogos, manifestazione della parola, diviene alogos, assenza di parola, e a farne i conti sono i rapporti umani sempre più freddi e distaccati.

Viviamo in continuo passaggio da uno spazio chiuso ad un altro. Dal risveglio al mattino tra le quattro mura domestiche, salendo in macchina o sui mezzi pubblici per andare a lavorare in ufficio, negozio o scuola che sia, per poi ripercorrere il viaggio a ritroso. Isolati completamente dal mondo, in perenne corsa frenetica, senza trovare la forza di meravigliarsi davanti ad un fiore che spavaldo si affaccia tra il grigio asfalto di un marciapiede.

Ci siamo così allontananti dai contesti naturali al punto che si inizia a parlare di Nature Deficit Disorder: un disturbo da deficit di natura che potrebbe essere alla base di serie problematiche fisiche e psichiche sempre più diffuse in adulti e bambini. Per evitare l’aumentare di questo divario tra Uomo e Natura, fonte di malessere e disumanizzazione, è necessario che ci si riappropri di un luogo fondamentale per il nostro benessere psicofisico: il Bosco.

I boschi sono i polmoni della terra, risorse insostituibili dove la vita è pulsante, primordiale, istintuale e selvatica. Da sempre luoghi iniziatici, simbolo di mistero e di culto, verso i quali l’uomo si è rivolto con spirito di devozione.

Il bosco diviene così il luogo da riscoprire, non solo come spazio esteriore ma anche come spazio interiore dell’animo umano. Un passaggio al bosco, citando Ernst Jünger, che ha il valore di un processo di ricerca, esplorazione, scoperta, conoscenza del mondo e di sé. Riprendere contatto con il mondo selvatico, direbbe lo psicanalista Claudio Risé, e riportare l’educazione, familiare e scolastica, su una strada in cui la natura sia integrata e integrante nella formazione dell’uomo e della comunità, è ora più che mai un imperativo.

Risorge, con impeto e forza, l’impulso di una nuova pedagogia naturale, un nuovo paradigma educativo che ponga al centro il rapporto con l’ambiente e metta in luce la necessità di ogni singolo individuo, affinché i suoi peculiari talenti possano emergere e possano essere donati al mondo.

Un’idea di scuola che è il metamorfosarsi delle grandi avanguardie educative di inizio novecento, quando in Italia sorsero le Scuole Rurali e la Scuola RinnovataNon una bucolica iniziativa di chissà quale alternativo educatore, ma il manifestarsi di una corrente pedagogica che ha radici ben solide nella nostra storia.

Il compito di una Scuola all’Aperto è perciò quello di rimettere al centro il rapporto del singolo con il mondo e con se stesso, attraverso un processo educativo vivente che prenda avvio dall’esplorazione, che venga nutrito dall‘immaginazione e che giunga a sedimentarsi in concetti.

Una Scuola all’Aperto permette una reale sensibilizzazione sulle tematiche ambientali, promuovendo azioni prosociali reali volte ad una cittadinanza attiva. L’individuo, crescendo, si sente più partecipe di un insieme plurale di uomini che vivono e condividono gli stessi suoi spazi. L’io non si astrae così dalla realtà ma ne è degno partecipe e quel senso di comunità, tanto anelato e discusso, risorge dal basso nutrito da gesti di cura e attenzione verso il prossimo e l’ambiente.

L’invito è quello di tornare a camminare nei boschi, riprendere contatto con la natura, riscoprire quel senso del sacro indispensabile per rialzare la testa al cielo ed ascoltare il vociar delle stelle.

Passeggiare in natura come antidoto ai mali del nostro tempo

Passeggiare in natura come antidoto ai mali del nostro tempo

Depressione, ansia, mancanza di spinte vitali, perdita di energie, consumismo, incapacità di donarsi e di creare relazioni autentiche, infertilità fisica e simbolica che è sintomo della mancanza di creatività…

Questi sono alcuni dei tratti comuni, troppo comuni, che segnano la vita dell’uomo contemporaneo. Abituato all’abbondanza, alla frenetica e bulimica attitudine a riempire vuoti esistenziali con esperienze e oggetti sempre nuovi, illudendosi di avere molto, si ritrova a camminare su un sentiero tracciato in un arido deserto.

Un malessere generale che riguarda l’individuo e la società, che si riflette sulla famiglia e si trasmette inesorabilmente alle nuove generazioni, ai figli.

AVENDO TUTTO NON SI DESIDERA NIENTE

Penso alle stanze dei bambini piene di giocattoli dal dubbio valore estetico ed educativo. Giochi che, subito dopo l’eccitamento iniziale, vengono abbandonati e relegati in una cesta colma fino quasi ad esplodere, e al bambino che infine si ritrova con lo sguardo fisso sullo schermo, imbambolato e inebetito davanti ad un cartone animato o a qualche videogioco.

Penso a persone, ad intere famiglie, che trascorrono ritualmente il fine settimana nei centri commerciali, divenuti luogo di falsa aggregazione e spinta consumistica. Quante volte si passano intere giornate a camminare tra vetrine luminescenti, senza la reale necessità di comprare qualcosa, ritornando a casa stanchi, confusi e nervosi, con un senso di vuoto interiore?

Non si vuole far riferimento alle necessità di una famiglia, o di un singolo, che lavora tutta la settimana e si ritrova a dover fare acquisti indispensabili nel poco tempo libero che ha. Lo sguardo è da rivolgersi all’aspetto di una condizione generalizzata dell’uomo postmoderno. Il fine è quello di indirizzare l’attenzione sul valore qualitativo del tempo che si dedica a se stessi e alla famiglia, che sia nel fine settimana, durante i giorni feriali o festivi non ha importanza. È la qualità a fare la differenza, non la quantità, e la si può ritrovare dedicando del tempo per fare esperienze e passeggiate in natura.

Respirare l’odore resinoso degli alberi e quello fresco del sottobosco, fermarsi ad ascoltare il cinguettio degli uccelli, cercare le impronte e i segni del passaggio degli animali e magari imparare a riconoscerli. Immergersi nella meraviglia della natura che cresce tra forme selvagge e ordine cosmico, lasciarsi trasportare in luoghi senza tempo, dove la vita pulsa da ogni angolo e invita a riappropriarsi di uno spazio, interiore ed esteriore, che è fondamentale per la salute dell’uomo.

Nel silenzio e nella quiete di una passeggiata in natura si torna a percepire così il profondo legame tra il respiro umano e quello terrestre. Questo è, senza ombra di dubbio, un buon antidoto ai mali del nostro tempo.

Il faro delle orche. La storia di Roberto Bubas

Il faro delle orche. La storia di Roberto Bubas

Chi è Roberto Bubas, il protagonista del film Il faro delle orche (2016) da qualche tempo disponibile su Netflix?

Roberto Bubas nasce il 20 agosto del 1970 ad Esquel, nella Patagonia argentina. Agente di Conservazione delle Aree Protette Marino Costiere, dal 1992 è guardia faunistica dell’Area Naturale Protetta della Penisola Valdès, nella provincia del Chubut.

Sin dal principio della sua attività di guardiano, inizia a monitorare la popolazione delle orche e le loro strategie di caccia. I suoi studi e le sue ricerche riscuotono un grande interesse scientifico e mediatico fino a ricevere una borsa di studio dalla National Geographic Society.

Per quasi due decenni ha monitorato il comportamento delle orche allo stato brado, con più di quattromila ore di osservazione, ed è considerato una delle persone al mondo che meglio conosce questi grandi animali marini. Collabora con il Centro per la Ricerca sulle Balene degli Stati Uniti e nel 2010 viene selezionato dall’Agenzia per la Cooperazione Internazionale del Giappone per partecipare ad un programma di educazione ambientale.

Grazie alla ricerca da lui condotta, contribuisce alla creazione di leggi di protezione delle specie del Mare Argentino. Impegnato difensore della natura e della libertà degli animali, comprende il suo lavoro in termini generazionali. Il suo intento è quello di creare una consapevolezza ambientale, proponendo il salvataggio dei valori che guidano l’umanità ad integrarsi armoniosamente nello spazio naturale che li circonda.

Queste le parole dello stesso Roberto Bubas, espresse durante il suo intervento a TEDx Rosario del 2012 che ci invitano ad approfondire il suo pensiero ecologico nella relazione Uomo-Natura.

Motivato dalla convinzione personale che i fenomeni naturali possono e devono essere trasmessi da una prospettiva diversa rispetto alla solita visione antropocentrica, nel mio messaggio è sottesa non solo l’intenzione di contribuire a una maggiore comprensione dell’ecologia della specie, ma piuttosto lo scopo di generare, attraverso la storia della vita delle orche, motivazioni che ci incoraggino a riscoprire un luogo di equilibrio nel fragile e complesso schema generale della vita su questo pianeta.

https://www.youtube.com/watch?v=tngDNIyTgTE
Donna Selvatica. Natura e gratuità del dono

Donna Selvatica. Natura e gratuità del dono

Dedichiamo questo nuovo articolo all’incontro con una figura che domina tanti racconti popolari, la Donna Selvatica, abitante speciale del bosco.

Nella nostra attualità occidentale la figura femminile troppo spesso vive una condizione di spaesamento e solitudine, mentre insegue una fantomatica libertà ricoprendo le vesti di donne emancipate, troppe volte ridotte a grottesche caricature di quegli uomini da cui non si sentono ascoltate ed accolte.

In questa condizione esistenziale disorientata il desiderio di tornare alla Natura alberga nei loro cuori, desiderose di riappropriarsi di uno spazio autentico nella società. La Donna Selvatica è una preziosa occasione per riconoscere la propria natura di donna, al di fuori e anche dentro di sé. È immagine dello spirito del bosco, della natura incontaminata delle origini. È l’Anima, tutta femminile, che dà vita.

Il bosco è da sempre simbolo dell’ignoto e dell’estraneo, ma anche luogo iniziatico fondamentale capace di trasformare chi ha il coraggio di attraversarlo in un essere adulto pronto a ricoprire consapevolmente il proprio ruolo nella comunità.

Chi incontra l’uomo che si addentra nel bosco? Lì trova la sua custode, la Donna Selvatica, candida, isolata e schiva. Vive in armonia con altre donne come lei, veste semplici abiti bianchi, ama il canto e la danza, si prende cura degli animali. Nel rapporto con il mondo si fa serva, custode attenta e generosa distributrice di doni. Non teme l’uomo, non è gelosa del suo bosco e quando si innamora non esita a lasciarlo per far visita alla cascina del suo contadino, lo aiuta nel lavoro, si dimostra compagna preziosa perché la vita e la casa fioriscano rigogliose, in nome del suo profondo interesse e rispetto per la vita.

Questa devozione della Donna Selvatica rappresenta la forza naturale del femminile primordiale che ogni donna porta dentro di sé e che la rende custode della vita stessa. Nella nostra contemporaneità l’avanzare della logica della razionalità ha allontanato da lei il mondo della natura, ponendo al centro il calcolo e l’esclusiva, spesso egoistica, espressione del proprio Io.

Tornare alla dimensione naturale invece restituisce centralità alla dimensione della gratuità del dono che ha in sé l’energia del Sacro e dell’abbondanza. La natura permette al piccolo seme di trasformarsi, di diventare albero e dare frutto. La Donna Selvatica rappresenta la femminilità che nell’essenzialità offre se stessa e nell’armonia con la natura porta una ricchezza profondamente appagante.

La Donna Selvatica interiore sa affidarsi con dedizione ed è portatrice della saggezza primordiale, tradizionalmente femminile, di tessere l’ordito della vita riunendo i fili in armoniosi disegni. In questo la donna trova la sua vera autonomia, recuperando il potere di comporre la trama della propria esistenza.

La donna moderna è chiamata a non trascurare due importanti aspetti per raggiungere tale indipendenza, narrati nelle tradizione popolari. Il primo elemento è il segreto: la donna non deve svelare da dove vengono le sue ricchezze, il mondo dell’abbondanza femminile per mantenere pienamente la sua energia deve restare tabù, nascosta agli occhi degli uomini, contrastando la violenza dell’attuale cultura dell’apparenza e dell’apparire ad ogni costo.

L’altro è l’allontanamento dalla riflessione intellettuale del calcolo: le donne che ricevono in dono dalle Donne Selvatiche i gomitoli di filo che non hanno mai fine, perdono questa abbondanza quando iniziano a chiedersi “quando finirà?”. Questa espressione di preoccupazione e bisogno di controllo è l’opposto di un atteggiamento di affidamento.

Accettare l’abbondanza e la ricchezza, la felicità aggiungerei, è più difficile che accettare la mancanza. Accogliere un dono disinteressato è estremamente difficile per l’odierno Io individuale. Di fronte ad esso, la coscienza è chiamata a fidarsi ed affidarsi accettando la condizione di benessere che quello porta con sé. In questo la ricerca di potere e possesso trova una limitazione e la razionalità si ancora alla familiare condizione di perenne bisogno e insoddisfazione, più facile da controllare.

Quest’ansia di controllo inquina l’interiorità, impedisce una libera espressione di sé nel rapporto con gli altri, sostituendo la gratuità con l’aspettativa del dare per avere e con la paura. È necessario allora riscoprire il sacro rapporto con la Donna Selvatica interiore, con quell’arcaica femminilità che sa tessere il gomitolo della propria esistenza con creatività e fiducia, scegliendo, questa volta davvero libera, quale disegno comporre.

Un invito per tutte noi a tornare alla Natura, per recuperare il contatto con le radici della propria interiorità. Solo così, ben radicate, le donne di oggi potranno innalzarsi verso il cielo.

Solo attraverso un profondo riconoscimento delle origini è possibile riuscire ad essere artefici di un virtuoso futuro.

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SUGGERIMENTI BIBLIOGRAFICI:
Paregger M., Risè C., Donne SelvaticheSan Paolo, Milano, 2015

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