La leggenda di San Giorgio e il drago

La leggenda di San Giorgio e il drago

C’era una volta un regno il cui popolo viveva chiuso tra le mura di una grande città.
Nessuno usciva mai poiché un drago aveva fatto di una grotta lì vicino la sua tana e tutti lo temevano. Per placare la sua ira, ogni giorno gli veniva data una giovane fanciulla, ma con il passare del tempo rimase solo la figlia del re. Nonostante il re fosse impaurito e contrariato, la principessa non volle esimersi dal destino che toccò a tutte le fanciulle del regno.

Il Signore, dall’alto dei cieli, rimase ad osservare finché chiamò a sé l’Arcangelo Michele e gli disse di scendere sulla terra alla ricerca di un nobile e coraggioso cavaliere pronto ad affrontare il terribile drago.

Michele scelse Messer Giorgio. Un giovane e nobile cavaliere che, avendo saputo dell’esistenza del drago e del pericolo che arrecava al popolo, partì immediatamente in sella al suo cavallo alla ricerca della città. Egli arrivò fuori le mura proprio mentre la principessa si apprestava a raggiungere la grotta del drago. Messer Giorgio la invitò a tornare in città dal re e chiese agli uomini che la accompagnavano dove fosse il drago. Questi dapprima lo esortarono ad andarsene ma, quando videro il coraggio brillare nei suoi occhi, gli indicarono la via da seguire.

Messer Giorgio, giunto in prossimità della grotta, guardò verso il cielo e invocò l’Arcangelo Michele affinché potesse consigliargli su come proteggersi dal fuoco e dal veleno del drago. Michele gli donò il mantello della verità, con quello indosso e impugnata la spada il cavaliere sfidò il drago. Quando questo uscì dalla grotta, attaccò Messer Giorgio e dalla sua bocca uscirono fiamme e veleno che però non lo scalfirono. Appena fu possibile il cavaliere lo colpì con la spada che finì in frantumi.

Vedendo tale coraggio e audacia anche gli uomini del villaggio presero le proprie spade e raggiunsero Messer Giorgio. Tentarono invano di colpire il drago e anche le loro spade andarono in frantumi. “Come possiamo sconfiggere il drago?” chiesero in coro e il cavaliere disse loro di rivolgere preghiere all’Arcangelo Michele.

Egli li sentì e volò verso il trono del Signore, il quale staccò un pezzo di sole e lo diede all’Arcangelo. Michele toccò la spada di Messer Giorgio con il frammento di sole ed essa tornò come nuova. Risplendeva e brillava di una luce divina e subito dopo anche tutte le spade degli uomini tornarono integre come prima. Messer Giorgio, alla guida degli uomini, si lanciò contro il drago, la luce della sua spada lo accecò e poté colpirlo, uccidendolo.

Con immensa gratitudine il re andò da Messer Giorgio, lo invitò a sposare la principessa e a prendere in eredità metà del suo regno. Egli accettò e tornarono vincitori nella città tra il clamore e la gioia del popolo.

Il calore del cuore. Una favola

Il calore del cuore. Una favola

Da molto tempo una gallina non riusciva a covare le sue uova e ciò le recava un grande dispiacere. Il peso del suo corpo le rompeva, tanto erano fragili e delicate. Decise di chiedere consiglio alla gallina più anziana e andò a parlarle.

La trovò appollaiata tra le radici di un fico e le disse: “Saggia gallina, le mie uova si rompono sempre e non so più cosa fare per covarle. Ci metto molto impegno nel tenerle al caldo con il mio corpo, ma questo non basta. Non riesco ad avere un pulcino e ciò mi rattrista molto. Cosa posso fare?” chiese la giovane gallina.

“Non solo il calore del corpo favorisce la vita. Ben più importante è il calore del cuore. Dovrai rivolgerti alle uova con amore e avrai bisogno del sostegno del gallo. Insieme prendetevene cura, pensate al piccolo che lì dorme e coltivate fiducia e speranza. Vedrete che il pulcino non tarderà a nascere.”

Così dicendo la saggia gallina si allontanò. La giovane tornò nel pollaio, andò dal gallo e gli riferì i consigli che le erano stati dati. Egli comprese quelle sagge parole e quando la gallina depose un nuovo uovo, se ne presero entrambi cura.

L’uovo venne covato con intenso amore. Dopo diversi giorni cominciò a muoversi e a scricchiolare, finché si ruppe e un piccolo becco giallo venne alla luce.

Il gallo e la gallina furono felici per la nascita del pulcino. Un piccolo sole era venuto al mondo portando gioia e felicità nella loro vita e in quella del pollaio.

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Questa favola è stata liberamente rielaborata, prendendo ispirazione dall’omonimo scritto di Leonardo Da Vinci “Il calore del cuore”.

Da Vinci L., Favole e leggende, Giunti Junior, Milano, 2009

Lo Spirito del Fuoco

Lo Spirito del Fuoco

C’era una volta,

alla periferia di un villaggio di pescatori una casetta abbandonata a sé, tutta rovinata. Aveva le finestre rotte, le porte cigolavano, in alcune parti mancava anche il pavimento. Nella sala principale vi era un grande camino.
Da qualche tempo abitava lì una bambina, che come unica compagnia aveva una piccola arpa che suonava magnificamente.

Gli abitanti del paese si chiedevano spesso chi fosse, da dove venisse, come mai era tutta sola. Credevano anche che fosse muta, perché mai aveva parlato con qualcuno. Arrivò in quel paese in un giorno d’estate e, dal momento del suo arrivo, ogni mattina si alzava di buon ora e con la sua piccola arpa andava nella piazza del villaggio a suonare.

La sua musica allietava i cuori dei passanti, e tutti nel villaggio erano felici di vederla ogni mattina lì, nella sua semplicità, suonare quella musica così bella che sembrava la voce degli angeli. Per ringraziarla gli abitanti le portavano spesso del cibo o del latte, e i più benestanti le lasciavano anche qualche soldino.

Passò così l’estate ed anche l’autunno. Arrivato l’inverno, con le piogge e il freddo, non fu così facile per la bambina recarsi ogni mattina in piazza a suonare. Con i pochi soldi che aveva guadagnato fece delle provviste di cibo e di legna, ma che non furono sufficienti.

Dopo qualche giorno che il tempo non era dei migliori, arrivò un pescatore ad avvertirla che il giorno seguente ci sarebbe stata una grande nevicata e le diede del pesce affumicato e un bel ciocco di legno e le disse: “Tra tutte queste cose, usa bene e con parsimonia il ciocco di legno. Se così farai, il fuoco che ne nascerà ti terrà compagnia a lungo!”

La mattina seguente, come il pescatore aveva annunciato, iniziò a nevicare, e fu così per tutto il giorno e per quelli seguenti. La legna finì e, ricordatasi del dono, prese il ciocco di legno e lo mise nel camino ancora acceso. Sembrò durare poco e la bambina iniziò ad avere paura del freddo che piano, piano stava riempiendo la casa. Più avanzava il freddo più lei si faceva vicina al fuoco che andava via,via spegnendosi.

D’un tratto una voce provenne dal camino “ Hai freddo vero?”, disse, e lei rispose tristemente “Sì molto, non so cosa fare…”.

“Canta per me” le disse la voce, “Ma tu chi sei?” chiese la bambina. “Sono lo Spirito del fuoco. Se all’alba e al tramonto tu per me canterai, io riscalderò questa casa sia di giorno che di notte e sarò qui al tuo fianco nella veglia e nel sonno!”

Così fu, prese l’arpa ed iniziò a suonare. Oltre le note della musica che bene conoscevano le sue piccole dita, iniziò a cantare e la sua voce era un incanto! Per molti giorni continuò la neve, anche se leggera, e la bambina usciva di rado solo per comprare un po’ di latte. Un bel giorno si svegliò, come al solito di buona leva e s’accorse che fuori c’era un sole splendente e la neve si era sciolta. Prese di corsa l’arpa e come un fulmine uscì di casa.

Al suo ritorno si accorse che il fuoco era spento. Non aveva mantenuto il suo impegno, presa dall’entusiasmo del sole mattutino, così ora non poteva più riscaldarsi e il buio si avvicinava. Fu la notte più fredda che la bambina passò.

All’alba un piccolo pettirosso entrò dalla finestra e saltellando le andò vicino, mentre ancora era assorta nel sonno. Quando si svegliò, l’uccellino era lì ed iniziò a canticchiare. Lei lo guardava incuriosita e felice di quell’inaspettata visita; mentre lui fischiettava, una piccola fiammella prese vita dal camino. Più continuava il suo canto e più la fiammella cresceva. Ed era musica per il suo cuore e per le sue orecchie tanto che per un attimo si dimenticò del freddo. Dopo poco il pettirosso riprese il volo.

La bambina si ricordò nuovamente della sua promessa, riprese la piccola arpa e cantò. Il fuoco prese sempre più vita, fino a risplendere e a scaldare come mai prima di quel momento. Lei si mise a piangere dalla gioia e chiese scusa allo Spirito del fuoco per essersi dimenticata di lui.

Arrivò la fine della primavera, l’estate iniziava a farsi sentire con lunghe giornate, con i profumi dei fiori e il cinguettio degli uccelli.

Una mattina di sole splendente la bambina prese in mano la sua arpa per cantare allo Spirito del fuoco che ancora fiammeggiava nel camino. Ma la sua voce si fece sentire: “Cara amica mia, ti ringrazio per il tuo canto. Ora sta giungendo l’estate e non avrai più bisogno di me per riscaldarti, ci sarà il calore del sole. La mia fiamma brillerà nel tuo cuore. Smetti ora di cantare per me è tempo di riposo. Tra le mie ceneri troverai uno scrigno ed in esso un piccolo ciocco di legno. Conservalo fino a che verrà il primo freddo e ovunque tu lo accenderai, lì ci rivedremo. Arrivederci amica mia!” e in un attimo il fuoco si spense.

Una piccola fiammella si andò a poggiare sul cuore della bambina e lì resto per sempre.

Artaban. La leggenda del quarto Re

Artaban. La leggenda del quarto Re

Nell’antica città di Ectabana, in Persia, viveva un grande saggio, studioso degli astri del cielo di nome Artaban. Un giorno invitò alla sua corte alcuni Magi per informarli di un’importante scoperta che egli aveva fatto.

“Il destino mi ha messo tra le mani una preziosissima pergamena che racconta la nascita di un Re in Palestina. Costui porterà amore e speranza nel mondo. Io e i tre grandi saggi, Melchiorre, Gaspare e Baldassarre, abbiamo interpretato gli astri lucenti e ciò che nel cielo è scritto. Per questo motivo andremo a far visita al nuovo Re. Io partirò prontamente portando con me tre preziosi doni: uno zaffiro, un rubino ed una perla. Tra tre giorni ci vedremo a Babilonia e da lì ci incammineremo insieme. Chi di voi vuole venire?”

Non ci fu risposta. Egli capì con rammarico che nessuno lo avrebbe accompagnato e che sarebbe dovuto partire da solo per raggiungere gli altri tre Re Magi.

Il giorno seguente partì. Durante la traversata di un deserto, sentì un lamento di sofferenza provenire da un’oasi. Si avvicinò e trovò un uomo ferito e in gravi condizioni. Decise di fermarsi per soccorrerlo e lo portò alla città più vicina. Entrati, lo accompagnò in una locanda dove poteva trovare rifugio, riposare ed essere curato.

Purtroppo l’uomo non aveva nulla per pagare la stanza e le cure, così Artaban diede al proprietario della locanda il suo zaffiro per permettere all’infermo di riposare ed essere curato a dovere. L’uomo, per ringraziarlo, gli disse che era venuto a conoscenza della nascita del Salvatore a Betlemme, città dove lui stesso era nato. Fu una grande notizia per Artaban e, nonostante avesse sacrificato il suo dono, sapeva di aver agito per una nobile causa.

I tre giorni erano passati ma comunque riprese il suo viaggio e, giunto a Babilonia, si accorse che ormai i tre Re Magi erano già partiti. Riposatosi alcuni giorni, riprese il viaggio dirigendosi verso Betlemme.

Impiegò molti giorni per giungere a Betlemme e, quando arrivò, scoprì che la città era invasa dai soldati del Re Erode. Egli aveva ordinato di cercare e uccidere tutti i primogeniti maschi perché temeva l’avvento del Re dei Re.

Mentre Artaban camminava per le vie di Betlemme riconobbe il pianto di un bambino che proveniva da una casa. Una donna era a terra rannicchiata e piangeva, tenendo il suo bambino tra le braccia. “I soldati stanno venendo a prendere mio figlio. Ti prego salvaci!” disse la donna ad Artaban. Egli si mise davanti alla porta di casa per sorvegliare e quando arrivò il soldato, gli disse: “Prendi questo rubino e vai via. Lascia in pace questa donna!”. Il soldato strabuzzò gli occhi davanti a quella pietra preziosa e, senza proferir parola, prese il gioiello e se ne andò.

Anche il secondo omaggio che Artaban voleva portare al Re era stato donato. L’uomo chiese alla donna se avesse sentito della nascita di un bambino, alla cui culla giunsero tre Re Magi con dei ricchi doni. La donna rispose: “Sì è successo non molto tempo fa. Ora quella famiglia è dovuta fuggire e nessuno sa dove sia andata”.

Con grande tristezza, il saggio salutò la donna e riprese il suo viaggio.
Passarono 33 lunghi anni e Artaban, ormai anziano e stanco di viaggiare, arrivò a Gerusalemme. La città era deserta perché la popolazione si era riunita vicino ad un monte chiamato Golgota dove stavano per essere giustiziati tre uomini. Uno di questi era da molti chiamato il Salvatore, da altri il Buon Pastore o anche il Re dei Giudei.

Artaban capì che si trattava di colui che da tempo stava cercando e si diresse verso il monte Golgota. Mentre si stava incamminando, sentì le urla di una donna catturata da alcuni soldati. Vedendo Artaban la donna lo pregò: “Aiutami buon uomo! Mi vogliono fare schiava contro la mia volontà!”. Il saggio, che ancora custodiva il terzo dono, prese la perla, la diede alla donna e così riscattò la sua libertà. Con questo gesto Artaban donò anche l’ultimo dei gioielli che voleva portare al nuovo Re!

Seduto a terra con la schiena poggiata al tronco di una grande palma, il vecchio saggio pensò: “Ho dedicato molti anni alla ricerca del nuovo Re ed ho dato via tutte le ricchezze che volevo donargli. Non l’ho mai trovato e, se anche lo trovassi adesso, non avrei niente da dargli per onorarlo!”

Improvvisamente vide una luce davanti a sé, accompagnata da una dolce musica celestiale. Artaban sentì una voce sconosciuta che gli disse: “Artaban non essere triste. In realtà, donando tutte le tue ricchezze a chi ne aveva più bisogno, tu mi hai trovato! In verità ti dico: quanto hai fatto ad ognuno dei tuoi fratelli, l’hai fatto a me!”

Artaban nel sentire quelle parole provò una gioia indescrivibile. Rasserenato, chiuse gli occhi per sempre e raggiunse nei Cieli il Re che tanto aveva cercato.

Re Valemon. Una storia di trasformazione

Re Valemon. Una storia di trasformazione

In questi giorni ho ripreso in mano un vecchio libro sulle figure fiabesche norvegesi illustrate da Theodor Kittelsen. L’immagine che più mi colpisce in questo libro, tra i vari troll e pixie, è quella di Re Valemon: un orso bianco con una giovane principessa che tiene tra le mani una ghirlanda d’oro.

Re Valemon è una fiaba di Peter Christen Asbjørnsen che ha tutti i connotati di una splendida storia di metamorfosi.[1]

Cosa racconta questa fiaba?

Una giovane principessa sognò di possedere una ghirlanda d’oro e, al suo risveglio, questa divenne il suo unico oggetto di desiderio. Il Re chiamò a corte tutti gli orafi del regno per farne forgiare una che potesse soddisfare la richiesta della figlia, ma nessuno riuscì nel compito.

Durante una passeggiata nel bosco, la principessa vide un orso bianco con una ghirlanda identica a quella sognata. L’animale promise di dargliela, chiedendole in cambio di andare a vivere nel suo castello. La giovane principessa, accettata la proposta, tornò dal padre che, non volendo separarsi da lei, la chiuse nel castello mettendo a protezione il suo esercito.

L’orso si recò al castello per prendere la principessa e si scontrò con le armate distruggendole. Il re provò a consegnare all’animale le altre due figlie, più brutte e cattive, ma l’orso infine riuscì a prendere con sé la bella principessa e condurla nel suo palazzo.

Qui, l’unico compito della giovane era quello di custodire un fuoco, che mai si sarebbe dovuto spegnere.

Durante il giorno l’orso non c’era mai e di notte, nel buio più totale, un giovane uomo entrava nella stanza da letto della principessa e giaceva con lei. Con il favore delle tenebre mai si riuscirono a vedere in volto. Passarono tre anni e la principessa diede alla luce tre figlie, una per ogni anno trascorso in quella dimora. Purtroppo non le vide mai poiché il giorno successivo alla nascita l’orso le prendeva e le portava via.

La principessa, con il cuore colmo di dolore e nostalgia della famiglia, chiese all’animale di farle rivedere i genitori. L’orso acconsentì ma le raccomandò di ascoltare i consigli del padre e non quelli della madre.

La principessa, raccontando del giovane che di notte entrava nella stanza, ascoltò il consiglio della madre che le suggerì di portare con sé un mozzicone di candela, così da illuminarlo e vederne il volto. La giovane, incantata dal fascino dell’amato, lasciò cadere sul suo viso una goccia di cera. Il giovane si risvegliò di colpo e svelò alla principessa il suo segreto. Una trollessa aveva lanciato su di lui un incantesimo: trasformato in orso, poteva tornare uomo solo di notte e se fosse stato scoperto avrebbe dovuto sposarla.

Riprese le sembianze di orso, Valemon fuggì nel bosco. La principessa lo seguì ma ne perse presto le tracce. Lungo il tragitto incontrò tre capanne, in ognuna delle quali abitava una bambina che le consegnò un oggetto magico. Giunta infine al castello della trollessa, grazie all’aiuto dei tre oggetti liberò Valemon e spezzò l’incantesimo. Insieme ripresero la via verso casa…

Ma durante il cammino, la carrozza fece tappa per tre volte, perché il re andò a prendere le tre ragazzine delle tre capanne che avevano aiutato la principessa durante il suo difficile viaggio, le quali altri non erano che le loro tre figliolette che lui aveva portato via alla madre alla nascita. E ora la principessa capì perché l’aveva fatto.[2]

Questa fiaba, ricca di contenuti, ci porta incontro l’importanza dell’amore. La principessa si addentra nel bosco, compiendo un atto di pura volontà che la porta incontro a Valemon, per salvarlo.

Ogni gesto d’amore è un atto magico che permette di vedere oltre le tenebre,  ha il potere di trasformare la realtà e di sciogliere qualsiasi incantesimo. Ciò può accadere solo se il cuore è mosso dal coraggio e guidato dalla fede.

CANTARE L’AMORE E’ ROBA DA POETI.
AGIRE L’AMORE E’ UN ATTO EROICO.

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NOTE:
[1] Da questa fiaba è stato tratto il film Il Regno d’inverno della regista Ola Solum
[2] Il frammento della fiaba è stato tratto dal sito Parole d’Autore. Traduzione dall’inglese di Valentina Vetere.

La leggenda di San Nicola e le origini di Babbo Natale

La leggenda di San Nicola e le origini di Babbo Natale

Viveva un tempo nella città di Myra, nel lontano Oriente, il vescovo Nicola. Egli era un uomo saggio e pio, amato da tutti. Un giorno gli giunse la voce che in Occidente, lontano dalla sua terra natia, vi era una città dove una forte carestia aveva portato fame e disperazione tra gli abitanti.

Nicola radunò intorno a sé dei fidati servitori e chiese loro di raccogliere il maggior numero di frutti dai campi, per portarli in dono agli abitanti di quella lontana città. Essi riempirono numerose ceste con noci e mele, portarono anche capienti sacchi di grano che, trasformato in farina, sarebbe servito per fare dell’ottimo pane e dei deliziosi dolci.

Questi doni della terra vennero imbarcati su una meravigliosa nave blu come il cielo. Nicola fu il primo a salire e quando tutto l’equipaggio fu a bordo, issata una vela bianca e candida, iniziarono il viaggio verso Occidente. Il vento favorevole spingeva la nave nella giusta direzione e, dopo un viaggio durato sette giorni e sette notti, giunsero alla loro meta.

Era ormai sera quando arrivarono in città. Lungo le strade non vi era anima viva, ma i bagliori delle lampade accese illuminavano le finestrelle di alcune case. Nicola si diresse alla porta di una di esse e bussò. Lì vivevano una mamma e i suoi cinque figli. Quando la donna sentì bussare, mandò i figli ad aprire la porta, ma fuori dalla loro abitazione non videro nessuno.

Rientrati in casa sentirono un delizioso profumo provenire dalla loro stufa a legna, sotto la quale stavano le scarpe e le sciarpe dei bambini, messe lì ad asciugare dopo la giornata trascorsa nel bosco a raccogliere la legna.

I bambini, curiosi, si avvicinarono alla stufa e videro che le loro scarpette erano colme di noci, mele, pane e dolci al miele. Lì accanto vi era anche un grande sacco pieno di chicchi di grano dorati. I loro occhi si riempirono di gioia e gratitudine per quell’inaspettato dono che permise loro di mangiare dopo un lungo periodo di fame.

Nicola, quella notte bussò a tutte le porte della città, passando di casa in casa per lasciare i suoi doni ad ogni abitante. Tutti poterono così mangiare quei preziosi doni della terra, che oltre a nutrire i loro corpi, riscaldarono i loro cuori.

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