Nel vasto mare del cinema d’animazione, nel 2014 uscì una vera e propria perla del regista irlandese Tomm Moore: La Canzone del Mare.

Un film poetico e magico che è riuscito ad intrecciare meravigliosamente tradizione e contemporaneità. 

Il regista Tomm Moore ha dato vita ad una vera e propria fiaba moderna, tenendo sullo sfondo narrativo il folklore irlandese e ponendo l’attenzione su quella che si può ben definire un’educazione sentimentale. Il centro della storia è la relazione familiare, messa in crisi a causa di un lutto. Questo tema, per nulla banale e molto difficile da affrontare, ne La Canzone del Mare assume una magica veste fiabesca, commovente e capace di lasciare il segno nel cuore di grandi e piccoli.

La storia narra di una famiglia irlandese che abita in un faro. Saorise è una bambina di 6 anni che ancora non parla ed è attratta dal mare. Vive con il padre e il fratello maggiore Ben, il quale non accetta la presenza della sorellina ritenendola responsabile della morte della madre. La notte del suo sesto compleanno, Saorise scopre due oggetti magici appartenuti alla madre: una conchiglia, che lei regalò al figlio per sentire il suono del mare, e un vecchio mantello bianco candido, che, in una fuga notturna, permette alla bambina di trasformarsi in una foca e di fare un magico viaggio negli abissi marini. Saorise non è una comune bambina ma, come sua madre, appartiene alla stirpe delle selkies, le donne-foche, creature magiche che vivono a metà tra terra e mare. Alla piccola bambina è riservato un compito: grazie al suo canto dovrà risvegliare le vittime della strega Macha che priva gli esseri viventi di ogni sentimento ed emozione, trasformandoli in pietra.

Una lettura interessante e realistica sull’importanza delle emozioni e dei sentimenti. Motore del vivere, talvolta hanno un peso insopportabile da cui si vorrebbe fuggire o, come per Macha, si vorrebbe ricorrere alla magia bramando un cuore di pietra pur di non provare dolore.

Quanti almeno una volta nella vita hanno desiderato di non provare alcuna emozione, preferendo l’oblio alla sofferenza?

Le vicende della famiglia irlandese rievocano nello spettatore un dolore atavico, quello del bambino che soffre, si sente abbandonato, dimenticato e rifiutato. Quello poi di un padre che sprofonda in una solitudine inconsolabile, che non ha speranza e soggiace inerme e privo di forza davanti agli accadimenti della vita, guardando dal suo faro il buio orizzonte. C’è anche il dolore di una madre che, con malinconica e sofferente dignità, accetta e segue la via che un destino ineluttabile le traccia nel cielo stellato.

Dal canto loro, Ben e Saorise ci dimostrano come l’amore per l’altro renda possibile l’accettazione del dolore e il suo superamento. Un amore verso il vivere stesso, che permette di guardare con fiducia il sole tramontare sapendo che sorgerà a nuovo.

I due fratellini intraprendono un viaggio commovente, in cui la speranza di una nuova vita e la ricerca di una rinnovata felicità si stagliano come la luce di un faro nella notte.

La Canzone del Mare è una storia che lascia il segno e che si conclude, come per ogni fiaba che si rispetti, con un lieto fine.

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