Viviamo in un tempo in cui i bambini sono circondati da figure educative femminili. Dal nido alla primaria l’incidenza di uomini all’interno della scuola è in percentuale bassissima, quasi irrilevante.

Tale assenza della figura maschile si ha spesso anche nei nuclei familiari. Situazioni di famiglie separate con padri estromessi dal loro ruolo o, anche in altre all’apparenza salde, in cui questi non sono presenti. In tali condizioni la madre si ritrova necessariamente a dover ricoprire un doppio ruolo.

Ho conosciuto molte famiglie in questi anni e spesso i bambini che più cercavano nel maestro maschio un punto di riferimento erano coloro che, per vari motivi, avevano delle difficoltà nel rapporto o nel riconoscimento della figura paterna.

Un quadro interessante dal punto di vista educativo. Oggi chi determina maggiormente l’educazione dei bambini è la donna, a scuola e spesso anche a casa. Risulta difficile la possibilità di un equilibrio nell’alterità maschile-femminile, polarità dal cui incontro si genera la vita e che sono il principio della creazione.

A seguito di queste semplici osservazioni, sorgono delle domande: Che ruolo ha il maschile nell’educazione? Quale esempio dare?

Quesiti molto complicati a cui dover rispondere. Facendo appello alle immaginazioni e cercando nel vasto panorama del mito, la figura di Ettore può portare incontro una prospettiva interessante.

Re di Troia, eroe coraggioso, uomo leale e generoso, adorato dal suo popolo, modello per le sue genti, sposo amorevole di Andromaca e padre di Astianatte. Ettore non è solo un padre e non è solo un guerriero. Ettore è entrambe le cose. Non combatte per la gloria personale, combatte per difendere la sua città e il suo popolo, è un eroe che agisce in relazione all’altro.

Nel VI canto dell’Iliade c’è un passo meraviglioso, in cui Ettore si congeda dalla famiglia per affrontare la guerra contro gli Achei che assediano le porte di Troia. Egli giunge al cospetto di Andromaca che disperata si rivolge allo sposo, esternando il suo timore e il suo dolore nel sapere che in battaglia avrebbe trovato morte certa.

Egli, conscio del  destino che lo attende fuori le mura della città, non può tirarsi indietro. È suo dovere essere presente, per l’onore suo, di suo padre, della sua famiglia e delle sue genti. Prima di congedarsi si volta verso il figlio e gli tende le braccia, ma Astianatte si ritrae vedendo davanti a sé un guerriero e non riconoscendo il padre.

Sorrisero entrambi il padre e la madre; ed Ettore glorioso si tolse dal capo l’elmo splendente deponendolo a terra; poi prese tra le braccia il figlio, lo baciò e a Zeus e agli altri dei rivolse questa preghiera: “Zeus, e voi divinità del cielo, fate che questo mio figlio sia come me, che si distingua fra i Teucri per forza e valore, che regni sovrano su Ilio.”

Per essere riconosciuto dal proprio figlio, Ettore deve rivolgersi a lui come padre, non come guerriero e per questo si toglie l’elmo. Compie in seguito un gesto importante, paterno: alza il figlio verso il cielo e lo mostra agli dei. Un’elevazione verso l’alto, segno di verticalità e di identità, un gesto che si differenzia dall’abbraccio accogliente e rassicurante tipico della madre.

Entrambi sono necessari per la crescita educativa del bambino. Le difficoltà sorgono quando vi è la predominanza di uno rispetto all’altro o la completa assenza di uno dei due.

Con questa immagine di Ettore, resta l’augurio di vedere sempre più padri che alzino i figli al cielo e che non rinuncino all’amore per l’azione, all’essere guerrieri, ma che, allo stesso tempo, sappiano capire quando è il momento di togliersi l’armatura.

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SUGGERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Omero, Iliade, Marsilio Editori, Venezia, 2001
Zoja L., Il gesto di Ettore, Bollati Boringhieri, 2016

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