Troverai più nei boschi che nei libri

Troverai più nei boschi che nei libri

TROVERAI PIU’ NEI BOSCHI CHE NEI LIBRI. GLI ALBERI E LE ROCCE TI INSEGNERANNO COSE CHE NESSUN MAESTRO TI DIRA’

Questa è probabilmente la più famosa citazione di Bernardo di Chiaravalle. Una frase che racchiude in sé una forza immaginativa senza pari. Rievoca un’ancestrale necessità dalla quale l’uomo contemporaneo si è quasi del tutto allontanato: il contatto con la natura.

Viviamo un presente sempre più tecnologizzato, controllato, igienico, sterilizzato e sterile, in cui l’uomo si barcamena tra pensieri astratti e grandi intellettualizzazioni. Enormi teste, colme di pensieri pensati da altri, poggiano su corpi anestetizzati che si agitano appena un bambino inizia a correre, temendo l’avanzare di febbri mortali al primo sudore, che inorridiscono al pensiero che il piccolo possa saltare in una pozzanghera o salire su un albero. E mentre osservano intimoriti la vitalità pulsante del bambino i loro arti si sclerotizzano sempre di più, i sensi si atrofizzano e si piegano su se stessi, incapaci di muoversi.

L’iper-controllo, che oggigiorno caratterizza gran parte della relazioni adulto-bambino, recide sul nascere la spinta naturale a conoscere il mondo, a sperimentare e sperimentarsi in e attraverso esso, e produce inevitabilmente diversi e seri problemi di salute.
Stare all’aria aperta non fa male, lo possiamo dire con certezza e un pizzico di provocazione: rafforza il sistema immunitario e garantisce una maggiore salute psicofisica. 

MENS SANA IN CORPORE SANO recitava Giovenale nelle sue Satire e oggi più che mai dovremmo ricordarlo noi. La vita dell’uomo dipende principalmente dalla sua salute, strettamente legata alla natura e senza la quale l’uomo si ammala.

Questa condizione umana che, in termini sarcastico-evoluzionistici, possiamo definire tipica dell’ homo sedentarius è aggravata dall’uso smisurato della tecnologia nei più svariati ambiti della vita quotidiana. L’aspetto che preoccupa maggiormente ha a che fare con le relazioni. Si comunica per lo più in forma virtuale o telefonica, permettendo il dilagare di vere e proprie dipendenze da smartphone e social media, con annessi reali rapporti sociali ridotti e, come dimostrano molti studi, ansie e depressioni dilaganti.

Non si vuole certamente demonizzare la tecnologia che ha assunto sì un ruolo dominante nella nostra società ma di cui è indiscutibile la necessità e la funzionalità in molti campi. Bisognerebbe solo farne un uso misurato per non esserne fagocitati e risucchiati.

L’immagine che comunque resta è quella di una società china su uno schermo incapace di alzare lo sguardo per incrociare gli occhi degli altri o per perdersi nella meraviglia di un cielo stellato. Occhi che non sanno guardare il mondo ma cercano foto e video su internet. Abbandonato il mondo dei miti, delle fiabe e dei racconti, perché considerati puerili e insignificanti, passiamo ore e ore a visualizzare le storie altrui su instagram o facebook. Questa è una triste considerazione.

La comunicazione è oggi privata della sua naturale forma, quella del dialogo. Si comunica molto ma si parla sempre meno. Quante persone si saranno ritrovate in casa a comunicare su whatsapp con un familiare che si trovava nella stanza vicina? Accade spesso, non mentiamoci. Il dialogos, manifestazione della parola, diviene alogos, assenza di parola, e a farne i conti sono i rapporti umani sempre più freddi e distaccati.

Viviamo in continuo passaggio da uno spazio chiuso ad un altro. Dal risveglio al mattino tra le quattro mura domestiche, salendo in macchina o sui mezzi pubblici per andare a lavorare in ufficio, negozio o scuola che sia, per poi ripercorrere il viaggio a ritroso. Isolati completamente dal mondo, in perenne corsa frenetica, senza trovare la forza di meravigliarsi davanti ad un fiore che spavaldo si affaccia tra il grigio asfalto di un marciapiede.

Ci siamo così allontananti dai contesti naturali al punto che si inizia a parlare di Nature Deficit Disorder: un disturbo da deficit di natura che potrebbe essere alla base di serie problematiche fisiche e psichiche sempre più diffuse in adulti e bambini. Per evitare l’aumentare di questo divario tra Uomo e Natura, fonte di malessere e disumanizzazione, è necessario che ci si riappropri di un luogo fondamentale per il nostro benessere psicofisico: il Bosco.

I boschi sono i polmoni della terra, risorse insostituibili dove la vita è pulsante, primordiale, istintuale e selvatica. Da sempre luoghi iniziatici, simbolo di mistero e di culto, verso i quali l’uomo si è rivolto con spirito di devozione.

Il bosco diviene così il luogo da riscoprire, non solo come spazio esteriore ma anche come spazio interiore dell’animo umano. Un passaggio al bosco, citando Ernst Jünger, che ha il valore di un processo di ricerca, esplorazione, scoperta, conoscenza del mondo e di sé. Riprendere contatto con il mondo selvatico, direbbe lo psicanalista Claudio Risé, e riportare l’educazione, familiare e scolastica, su una strada in cui la natura sia integrata e integrante nella formazione dell’uomo e della comunità, è ora più che mai un imperativo.

Risorge, con impeto e forza, l’impulso di una nuova pedagogia naturale, un nuovo paradigma educativo che ponga al centro il rapporto con l’ambiente e metta in luce la necessità di ogni singolo individuo, affinché i suoi peculiari talenti possano emergere e possano essere donati al mondo.

Un’idea di scuola che è il metamorfosarsi delle grandi avanguardie educative di inizio novecento, quando in Italia sorsero le Scuole Rurali e la Scuola RinnovataNon una bucolica iniziativa di chissà quale alternativo educatore, ma il manifestarsi di una corrente pedagogica che ha radici ben solide nella nostra storia.

Il compito di una Scuola all’Aperto è perciò quello di rimettere al centro il rapporto del singolo con il mondo e con se stesso, attraverso un processo educativo vivente che prenda avvio dall’esplorazione, che venga nutrito dall‘immaginazione e che giunga a sedimentarsi in concetti.

Una Scuola all’Aperto permette una reale sensibilizzazione sulle tematiche ambientali, promuovendo azioni prosociali reali volte ad una cittadinanza attiva. L’individuo, crescendo, si sente più partecipe di un insieme plurale di uomini che vivono e condividono gli stessi suoi spazi. L’io non si astrae così dalla realtà ma ne è degno partecipe e quel senso di comunità, tanto anelato e discusso, risorge dal basso nutrito da gesti di cura e attenzione verso il prossimo e l’ambiente.

L’invito è quello di tornare a camminare nei boschi, riprendere contatto con la natura, riscoprire quel senso del sacro indispensabile per rialzare la testa al cielo ed ascoltare il vociar delle stelle.

Passeggiare in natura come antidoto ai mali del nostro tempo

Passeggiare in natura come antidoto ai mali del nostro tempo

Depressione, ansia, mancanza di spinte vitali, perdita di energie, consumismo, incapacità di donarsi e di creare relazioni autentiche, infertilità fisica e simbolica che è sintomo della mancanza di creatività…

Questi sono alcuni dei tratti comuni, troppo comuni, che segnano la vita dell’uomo contemporaneo. Abituato all’abbondanza, alla frenetica e bulimica attitudine a riempire vuoti esistenziali con esperienze e oggetti sempre nuovi, illudendosi di avere molto, si ritrova a camminare su un sentiero tracciato in un arido deserto.

Un malessere generale che riguarda l’individuo e la società, che si riflette sulla famiglia e si trasmette inesorabilmente alle nuove generazioni, ai figli.

AVENDO TUTTO NON SI DESIDERA NIENTE

Penso alle stanze dei bambini piene di giocattoli dal dubbio valore estetico ed educativo. Giochi che, subito dopo l’eccitamento iniziale, vengono abbandonati e relegati in una cesta colma fino quasi ad esplodere, e al bambino che infine si ritrova con lo sguardo fisso sullo schermo, imbambolato e inebetito davanti ad un cartone animato o a qualche videogioco.

Penso a persone, ad intere famiglie, che trascorrono ritualmente il fine settimana nei centri commerciali, divenuti luogo di falsa aggregazione e spinta consumistica. Quante volte si passano intere giornate a camminare tra vetrine luminescenti, senza la reale necessità di comprare qualcosa, ritornando a casa stanchi, confusi e nervosi, con un senso di vuoto interiore?

Non si vuole far riferimento alle necessità di una famiglia, o di un singolo, che lavora tutta la settimana e si ritrova a dover fare acquisti indispensabili nel poco tempo libero che ha. Lo sguardo è da rivolgersi all’aspetto di una condizione generalizzata dell’uomo postmoderno. Il fine è quello di indirizzare l’attenzione sul valore qualitativo del tempo che si dedica a se stessi e alla famiglia, che sia nel fine settimana, durante i giorni feriali o festivi non ha importanza. È la qualità a fare la differenza, non la quantità, e la si può ritrovare dedicando del tempo per fare esperienze e passeggiate in natura.

Respirare l’odore resinoso degli alberi e quello fresco del sottobosco, fermarsi ad ascoltare il cinguettio degli uccelli, cercare le impronte e i segni del passaggio degli animali e magari imparare a riconoscerli. Immergersi nella meraviglia della natura che cresce tra forme selvagge e ordine cosmico, lasciarsi trasportare in luoghi senza tempo, dove la vita pulsa da ogni angolo e invita a riappropriarsi di uno spazio, interiore ed esteriore, che è fondamentale per la salute dell’uomo.

Nel silenzio e nella quiete di una passeggiata in natura si torna a percepire così il profondo legame tra il respiro umano e quello terrestre. Questo è, senza ombra di dubbio, un buon antidoto ai mali del nostro tempo.

Una giornata speciale a chiusura dell’anno scolastico

Una giornata speciale a chiusura dell’anno scolastico

La giornata conclusiva di questo anno scolastico del Progetto Sperimentale di Scuola all’Aperto NAUTILUS è stata alquanto speciale.

Abbiamo partecipato ad una bella mattinata in occasione della Giornata Mondiale degli Oceani 2021, organizzata dall’Ente Regionale RomaNatura, da Sotto al mare e da Cheiron presso la Casa del Mare di Ostia.

Un anno così particolare e complesso che si è concluso nella cornice meravigliosa di un vero e proprio presidio educativo, culturale e scientifico del nostro territorio.
Un luogo in cui si porta avanti un importante lavoro di promozione dell’ambiente e dell’Area Marina Protetta Secche di Tor Paterno attraverso attività di informazione, formazione, divulgazione, educazione e monitoraggio con impegno, passione e dedizione.

Durante la giornata, che ha previsto incontri di sensibilizzazione sulle tematiche ambientali e attività artistiche, abbiamo potuto consegnare ai bambini e alle bambine del Progetto Nautilus le pagelle immaginative.

A fine viaggio riteniamo di grande importanza restituire ai bambini un’immagine che parli di loro, che vada a nutrire i loro sentimenti e che sia una rappresentazione simbolica del processo di crescita e di apprendimento vissuto nel corso dell’anno scolastico.

Sono immagini che parlano di mare e di terra: fauna pelagica, fauna e flora terrestri. Immagini che hanno anche un secondo fine, quello di sensibilizzare alla conoscenza e alla tutela del patrimonio naturale e ambientale.

Solo al più grande, che si appresta ad affrontare il passaggio della scuola secondaria di primo grado, abbiamo scritto una lettera più intima, donando un ciondolo da poter portare con sé nei suoi futuri viaggi per terra e per mare.

Un modo artistico per ricordarci che la vita è “una danza di parti interagenti”, come direbbe Gregory Bateson.

La leggenda di San Giorgio e il drago

La leggenda di San Giorgio e il drago

C’era una volta un regno il cui popolo viveva chiuso tra le mura di una grande città.
Nessuno usciva mai poiché un drago aveva fatto di una grotta lì vicino la sua tana e tutti lo temevano. Per placare la sua ira, ogni giorno gli veniva data una giovane fanciulla, ma con il passare del tempo rimase solo la figlia del re. Nonostante il re fosse impaurito e contrariato, la principessa non volle esimersi dal destino che toccò a tutte le fanciulle del regno.

Il Signore, dall’alto dei cieli, rimase ad osservare finché chiamò a sé l’Arcangelo Michele e gli disse di scendere sulla terra alla ricerca di un nobile e coraggioso cavaliere pronto ad affrontare il terribile drago.

Michele scelse Messer Giorgio. Un giovane e nobile cavaliere che, avendo saputo dell’esistenza del drago e del pericolo che arrecava al popolo, partì immediatamente in sella al suo cavallo alla ricerca della città. Egli arrivò fuori le mura proprio mentre la principessa si apprestava a raggiungere la grotta del drago. Messer Giorgio la invitò a tornare in città dal re e chiese agli uomini che la accompagnavano dove fosse il drago. Questi dapprima lo esortarono ad andarsene ma, quando videro il coraggio brillare nei suoi occhi, gli indicarono la via da seguire.

Messer Giorgio, giunto in prossimità della grotta, guardò verso il cielo e invocò l’Arcangelo Michele affinché potesse consigliargli su come proteggersi dal fuoco e dal veleno del drago. Michele gli donò il mantello della verità, con quello indosso e impugnata la spada il cavaliere sfidò il drago. Quando questo uscì dalla grotta, attaccò Messer Giorgio e dalla sua bocca uscirono fiamme e veleno che però non lo scalfirono. Appena fu possibile il cavaliere lo colpì con la spada che finì in frantumi.

Vedendo tale coraggio e audacia anche gli uomini del villaggio presero le proprie spade e raggiunsero Messer Giorgio. Tentarono invano di colpire il drago e anche le loro spade andarono in frantumi. “Come possiamo sconfiggere il drago?” chiesero in coro e il cavaliere disse loro di rivolgere preghiere all’Arcangelo Michele.

Egli li sentì e volò verso il trono del Signore, il quale staccò un pezzo di sole e lo diede all’Arcangelo. Michele toccò la spada di Messer Giorgio con il frammento di sole ed essa tornò come nuova. Risplendeva e brillava di una luce divina e subito dopo anche tutte le spade degli uomini tornarono integre come prima. Messer Giorgio, alla guida degli uomini, si lanciò contro il drago, la luce della sua spada lo accecò e poté colpirlo, uccidendolo.

Con immensa gratitudine il re andò da Messer Giorgio, lo invitò a sposare la principessa e a prendere in eredità metà del suo regno. Egli accettò e tornarono vincitori nella città tra il clamore e la gioia del popolo.

Misteri archeologici nella pineta di Procoio

Misteri archeologici nella pineta di Procoio

Questa mattina, per festeggiare il compleanno di Roma, ci siamo immersi in una grandiosa esplorazione tra natura e storia.

Il territorio di Ostia è ricco di sorprese e meraviglie storiche e naturalistiche. Tra queste la Pineta di Procoio che segna il confine a nord del quartiere.

Proprio qui ci siamo dati appuntamento con i bambini del Progetto Sperimentale di Scuola all’Aperto NAUTILUS. Un appuntamento in una delle molteplici aule all’aperto di cui possiamo disporre semplicemente allargando gli orizzonti dell’educare.

La Pineta di Procoio, oltre a rappresentare parte del polmone verde del litorale romano, nasconde un prezioso mistero archeologico.

Come veri esploratori ci siamo addentrati tra pini e lecci, fino a giungere in aperta campagna.

Camminando con sguardo curioso e in attento ascolto della natura e dell’ambiente intorno a noi, ci siamo imbattuti in alcuni reperti archeologici.

Siamo partiti dall’osservazione, passando alla rappresentazione grafica con il disegno dal vero per fare delle ipotesi storiche.

M.D., 6 anni, vedendo la struttura ancora in piedi, un muro di 200 m, immagina si trattasse di una grande casa appartenuta ad una famiglia benestante.

T.N., 7 anni, nota con stupore che le mura sono costruite in modo particolare e non seguono lo stesso “disegno”, osservando anche dei fori nei muri.

N.F., 6 anni, ipotizza che ci fosse una piscina e S.P., 10 anni, avvalorando l’idea, pensa che i buchi siano il segno del passaggio di alcune tubature per l’acqua.

Solo in seguito all’ascolto di tutte le loro teorie, abbiamo spiegato l’origine di quelle rovine così affascinanti e misteriose.

Si tratta di una villa romana e un complesso termale extraurbano, rispetto all’antica città di Ostia.

Un luogo di grande valore storico e culturale che duemila anni fa si affacciava sul mare.

Con stupore, rivolgendo lo sguardo a sud, là dove ora si espande la pineta e poi segue il centro abitato del nostro quartiere, abbiamo immaginato triremi e navi mercantili perdersi all’orizzonte.

Per avere maggiori informazioni sulle fonti storiche di questi reperti archeologici, si rimanda all’intervista fatta da Aldo Marinelli de La mia Ostia all’archeologa Laura Nicotra.

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